Nunzio vobis gaudium magnum: Habemus legibus
L'addio alla sala musicale lasciò gli 'irriducibili' in grande sconforto.Desiderosi di dare seguito al passatempo preferito non si diedero per vinti e "ripiegarono" seguendo la vecchia abitudine di ritrovarsi in feste private. Pensammo però che turnare la "location" diventava problematico perché non tutti avevano la disponibilità di una stanza di casa sufficientemente ampia e liberabile ad hoc.
Si ebbe l'idea di allestire (in un appartamento vecchio e dismesso vicino al cortile dell'amico Ennio Prandi) un ritrovo per la domenica o in occasioni di festività o ricorrenze.
Il Gufo era nato, rivestimmo le pareti incollando con pagine di vecchie riviste, qualche muro sconnesso bitumato rugoso ed il tutto dipinto alla 'carlona'. La saletta principale era stata dotata di una valigetta-giradischi con diffusori aggiunti, di vecchie sedie recuperate ed un divanetto posto sul pianerottolo alla fine della scala d'ingresso sopra il cui schienale era stato sistemata (in bella mostra) una grande pergamena con le "leggi del Gufo" un decalogo umoristico condiviso.
Portammo di volta in volta nostre collezioni di dischi per creare così una bella discoteca di brani selezionati.
La realizzazione dell'idea l'idea ci rese dapprima euforici,però col passar del tempo vennero alle nostre orecchie che erano messe in giro lamentele adducendo disturbi sonori e fracasso, sentiti anche a distanza così dicevano i vicini.
Dapprima noi cercammo di contenere e rumori ma era più probabile che qualcuno o qualcuna fossero infastiditi dal vedere gruppetti di giovani che si divertivano ed anche infastiditi di non essere stati invitati.
Le dicerie proseguirono e i nostri genitori vennero addirittura informati dai (soliti) benpensanti che vedevano 'peccaminosi' i balli e ci scoraggiarono a mantenere in vita e frequentare il ritrovo .
Dopo qualche tempo andò tutto in "vacca" come si disse, arrabbiati, perché costretti ancora una volta a disfare armi e bagagli.
Pilota improvvisato, divertente e…..pasticcione
Un altro aggeggio sempre munito di vecchi ruote a camera d’aria, con due manici che si prolungavano a formare, oltre la parte impugnabile inchiodati a due traversi orizzontali, un rettangolo di robusto legno munito nei quattro lati di solidi ganci uncinati “portasecchi“
Era un trabiccolo che i nostri genitori ci lasciavano usare quando ci comandavano rifornire casa di acqua potabile alla fontana della stredanova (nel cortile vi era un pozzo sorgivo ma di acqua non potabile e che serviva per calare in estate le cocomero ed i meloni a rinfrescare o attingere acqua per gli usi meno nobili.: pulire il “cesso” comune posizionato nei “bassi servizi” del cortile o per lavaggi in “bugadèra”.
Un tardo pomeriggio, dopo essere rincasato con mia sorella e dopo aver deposto i secchi, ebbi il desiderio (brillante trovata!!) di fare il manovratore di camion con rimorchio.
Agganciai in testa al al carretto portasecchi il manico con occhiello del carriolo con spondine
Poi ,per strafare,(ed aumentare il brivido da divertimento) mentre tornammo da Via Marconi per rincasare,nel tratto davanti al punto dove sorge ora la Scuola Materna, un piccolo gatto o un topone(non ricordo) attraversò correndo la strada.
Il grido allarmato di mia sorella che aveva visto l'animale che traversava, mentre io spingendo in corsa ero intento a tenere il centro-strada, mi ha preso alla sprovvista e la reazione è stata quella di deviare a sinistra ottenendo la direzione contraria del carretto sistemato in testa e legato solo nel punto centrale e snodabile con mia sorella a bordo.
Il 'convoglio' finì dritto nel fosso, mia sorella sbalzata nel letto di ortiche ed anch'io scivolato appresso cercando di evitare che i carretti ci cadessero addosso.
Come siamo emersi, lo lascio immaginare:'ustionati e gonfi'.Così malconci ci incamminammo a piedi e zoppicando verso casa.
Appena giunti in cortile mio papà che,rientrato dal lavoro era nell'orto ci vide e, dopo aver constatato la la gravità (anche se poi si dimostrò relativa) andò su tutte le furie specialmente con me più grandicello.
Volle sapere dove si trovavano i carrioli e lo condussi al fosso, erano impantanati e con le ruote storte, me ne andai dalla mamma per evitare il peggio e le bot…quella volta non erano una versione femminile dei futuri BOT
L'offerta in lungo ed in largo dei biglietti della (LOTTERIA... alimentare)
Senza molta fantasia, debbo dire, un’idea ci venne quando incontrammo più volte, nelle spedizioni campagnole per gli approvigionamenti di frutta gratis, marene, cocomere, cagnetti, un personaggio conosciuto in paese.
Incrociammo la signora Tagliavini detta “la Tajavèina”, icona paesana dei novanta sulla ruota di Firenze e conoscitrice del loro significato cabalistico,che col suo carretto al andava casa per casa a chiedere di acquistare biglietti della lotteria che aveva in palio diversi oggetti belli ed utili alla casa.
La signora era benvoluta e nelle campagne portava anche le ultime novità, chiaccherava volentieri con le “resdore” sempre prese dai fatti di casa tra fornelli, accudire bambini o collaborare nei momenti di più critici ai lavori nei campi.
Le famiglie vedevano la sig.ra Tagliavini determinata e bisognosa allora compravano uno o più numeri anche come atto di solidarietà a riconoscimento della fatica che faceva percorrendo tanta strada a piedi tirando il carretto tutti i giorni della settimanae dei mesi.
Detto fatto ci recammo dalla Marisa (negozio alimentare sotto i portici) che conosceva bene noi e le nostre famiglie in quanto “di casa”. Le esponemmo la nostra idea per avere un suggerimento ed ella si disse disposta a darci “a spèta-pagamento posticipato” generi alimentari di valore ma non deperibili in quanto dovevamo portarli in giro da sottoporre orgogliosamente ai futuri acquirenti dei biglietti. Diventammo di fatto concorrenti dell signora “Tajaveina” che quando ci incontrava che spingevamo il nostro carretto con la mano aperta e il braccio teso ci gridava “lasaraun!!!”una risata ed un fuggi fuggi.
Il carretto altro non era che un “carriolo con spondine” con ruote di vecchie bicicletta in disarmo che tiravamo a turno lungo le strade.
Attaccammo ai ganci borse contenenti i premi della lotteria e spingendoci dal Canalazzo a S.Michele, e S.Tommaso battendo palmo palmo ogni casa e chi ci vedeva così speranzosi e ottimisti, comprava (ricordo 25 lire) qualche biglietto: col senno di poi pensammo che era più che altro per compassione.
I mesi di Giugno e Luglio facevamo la nostra maratona col risultato più che soddisfacente.
Se non riuscivamo a vendere tutti i numeri i pochissimi restanti li tenevamo noi ed in caso uno di quelli fossero stati fra gli estratti rendevamo la merce il cui valore ci veniva scontato dai pagamenti.
La Fiera era…. conquistata!! E assicurata.
Aspettavamo solo l’annuncio dato dai rumori delle installazioni dei divertimenti, che sentivamo dal baccano che arrivava sotto le finestre delle camere, affacciate sulla piazza, causato dagli operai che montavano l’autopista, i tiri a segno, e le giostre già una settimana prima dell’inizio del: ”paese dei balocchi”.
Ci preparavamo a divertirci ed anche quella era un’occasione che ci permetteva di osservare quanto avveniva e, finita la fiera, ci “imbarcavamo” ad allestire nell’orto dietro casa bersaglio con fucile a tappi, e “mignin, cioccolatine e cremifrutto allineate su assi distanti e poste al di fuori recinzione dell’orto che teneva i tiratori a debita distanza, pur col il vantaggio di appoggiare il piccolo fucile nell’interstizio romboidale della rete per migliorare la mira.
Altri giochi che allestivamo: banchetto dei dadi, delle lune, gioco delle buste.
tiro al“boccione”
Oltre al “bòc e spana” giocato inginocchiati con l’obiettivo di colpire a “cricchetti “la biglia di un concorrente (per accaparrarla ed eliminarlo, ed era vietato mirare ad una biglia meno distante di una “una spanna” all’incirca 20 cm.) il gioco che attirava molti era: il tiro al “boccione”.
Un ragazzo del gruppo, “il primo banditore” in possesso del più bel “boccione” e che accettava di mettere all’asta, si sedeva a terra a gambe divaricate per raccogliere tutte le palline colorate in terracotta che arrivavano a frotte tirate dai componenti il gruppo che era posto ad una certa distanza, misurata in ..passi, al comando: “VIA!!”.
Ognuno mirava al “boccione” ma in realtà con la sua conquista ambiva a sedersi al posto divenendo “nuovo banditore” e sostituire, con tacito accordo di tutti, chi aveva avviato il gioco; così facendo dava inizio ad un nuovo round e raccoglieva a sua volta la miriade di palline dei nuovi tiri mancati dal “collettivo”.
Nessuno, in quel momento, era autorizzato (pena tacita disapprovazione)ad aprire un “nuovo banco”: solo al ritiro del “banditore” in carica chiunque poteva (ufficialmente) riaprire il gioco.
Alla fine quasi tutti euforici, sicuramente quelli con il sacchetto o le tasche piene delle piccole “terracotte” si cimentavano nel gran tiro con fionde verso il campanile con piccole palline in questo caso di vetro (chè quelle in terracotta si frantumavano). L’obiettivo era far rintoccare una delle campane.
Era (almeno per noi chierici della prim’ora) un’altra piccola rivincita verso Gildardo che, anche se a sua insaputa, si prendeva gli “oremus” delle vecchiette che abitavano nei pressi ed in particolare proprio sotto il campanile e che udivano confusi e piccoli rintocchi senza riuscire a dar loro un significato.
In alternativa a questi giochi “innoqui”, alcuni giorni nei quali eravamo presi da smania di emulazione dei “nostri eroi”, visti nei film storico-avventurosi proiettati “dal grande Barèca” al cinema Gonzaga.
Era questa (variante-giochi) una trasformazione in paladini, soldati, indiani a seconda selle giornate, a tali scopo provvedevamo a costruire quegli “ armamenti” (archi (Robin Hood)balestre e spade (Re Artù) fionde,catapulte utilizzando tavolette in legno, rami di salice bagnati, pelati e poi essiccati o “sangonèina” un particolare arbusto sottile ed elastico) che celavamo, finita la performance sul campo di battaglia, nei nostri rifugi creati ad-hoc.
Salone divertimenti ambiente “ACLI”
Il salone sovrastante il bar Acli era attrezzato per ospitare la piccola pista
“POLI-CAR”
per mini bolidi allora tecnologici e veloci che usavamo per gareggiare, su di una pista ovale munita di una serie piccoli binari bipolo a basso voltaggio ai quali aderivano le microspazzole che si trovaavano sotto la scocca dell’automobilina e che ogni concorrente comandava a distanza col proprio potenziometro a molla premuto col pollice e rilasciato per rallentare la velocità. In sostanza vinceva chi aveva il motorino elettrico dell’auto “non cotto” (si agiva in cantina sulle spire dell’avvolgimento per “truccare” il piccolo bolide) ed era esperto tempista nel togliere e dare velocità all’auto, affrontare i tratti in curva e riprendere velocità sulla parte rettilinea.
La Sala era attrezzata con juke-box, bigliardini ”balilla” tavolo da ping-pong divertimento movimentato e ambito intorno al quale, per permettere a tutti i presenti (almeno intorno alla decina) di partecipare contemporaneamente al gioco.
Era chiamata ,se ben ricordo, partita”alla romana” si correva in torno al tavolo da gioco ognuno munito di racchetta individuale, quando veniva il proprio turno si riceveva con rimando all’altra metà del tavolo la pallina, cercando ogni “effetto” per eliminare l’avversario di fronte che se non era in grado di ribattere la pallina regolarmente veniva eliminato. Si mettevano in atto vere acrobazie ed alla fine delle infinite corse intorno al tavolo verde sarebbe risultato vincente chi dei due giocatori rimasti avrebbe avuto la meglio nell’ultima disputa a due.
Il gruppo amante della musica rok-beat ed anche romanticamente “dolce” si appoggiava quasi abbracciandolo al juke-box affascinato dalla molteplicità di brani ascoltabili e sempre aggiornati con le ultime canzoni del momento. Infatti i dischi appositamente editi per quelle macchine-audio che erano poste in luoghi pubblici erano forniti da un servizio organizzato ad-hoc molto attento alle novità.
Noi mai sazi di musica, , pensa a chi chiedere, eravamo riusciti ad ottenere il recapito di una signora che riciclava i dischi sostituiti nei vari juke della zona reggiana e dalla quale ci recavamo per acquistare i più “toghi” anche se un poco opacizzati leggermente graffiati, specialmente nel “verso” più gettonato e usurato dall’ascolto. Con pochi soldi però, portavamo a casa un bel plico di “45” da inserire poi nel mangia-dischi portatile coloratissimo che messo a tracolla era “status-simbol” portato come il borsetto portadocumenti odierno, con una variante però: conteneva solo musica !! beati spensierati anni……………
Il nostro cruccio era di non avere in particolare nei mesi invernali un ritrovo un po’ soft ,diremmo ora , per ascoltare musica seduti su qualche panchetta o sedie .
Da lì a qualche ballo collettivo il passo era breve ed avevamo voglia di rokkeggiare, twistare, saltare (bi-babaluba-sait-tropez-e qualche volta-romantica-io che amo solo te- ecc.
Tutti noi ,entusiasti e con il tacito assenso di don Giuseppe e di Guido già allora abbastanza lungimiranti e che sempre sopraintendevano il “parco divertimenti” dell’oratorio, ottenemmo il permesso di suddividere il salone in due parti:la prima all’ingresso che ospitava i giochi, la parte finale che guardava verso la vetrata su quello che ora è l’accesso da stradanuova al bar per saletta musicale.
Il problema era che la parte giochi era tutt’uno con la sala-musica ed il collettivo chiassoso dei ragazzini disturbava l’ascolto musicale che così non veniva pienamente gustato.
La necessità ci suggerì un’idea: di mettere in atto una pseudo-parete divisoria di mattoncini “gelosia” ai quali, dal lato della zona musicale, avevamo fatto aderire fino all’altezza di un mero rettangoli di cartoni porta -uova che isolavano sufficientemente i rumori più invasivi lasciando pero passare,nella parte alta, sufficiente luce perché non rimanesse al buio
l’antistante sala giochi.
Le pareti, dipinte da noi di un verde-malva erano poi rese più accoglienti (trend si direbbe ora) da una coreografia di grosse corde (soghet) ancorate in diagonale da soffitto a terra che, fermate agli incroci con grosse borchie che ci aveva scovato gratis “Checo-frera” nel magazzino retrobottega, formavano un disegno “romboni” geometrici molto suggestivo: l’ambiente che ne era uscito era veramente OK.
Si era sparsa la voce che era stato creato un ritrovo musicale ed anche da paesi lì intorno accadeva che qualche curioso si aggregasse sporadicamente per passare con noi qualche serata in compagnia.
Fu in una di quelle sere che conoscemmo Augusto Daolio che sarebbe divenuto l’inimitabile Augusto dei Nomadi che aveva apprezzato la nostra l’iniziativa. Già a quei tempi Augusto era di una sfrenata attività, parlando e commentando musica dei più svriati generi pensammo, visto che noi come coreografi-tecnici-tuttofare, (anche le pulizie!) del teatrino parrocchiale, stavamo preparando una serata dedicata alle maschere con esibizioni di canzoni interpretate dai bambini, di invitarlo come ospite d’onore.
Detto-fatto accettò immediatamente con entusiasmo ed eseguì poi sul palco a braccio ( senza colonna musicale) qualche canzone.
“BI-BABALUBA” in particolare con la sua sfrenatezza esecutiva mandò in euforia i presenti che videro certamente in lui il futuro una potenziale anticipazione dell’artista che in effetti fu.
La sala musicale ebbe un periodo felice all’inizio ed un po’ travagliato un seguito perché dall’esterno del gruppo frequentatore si diffusero “chiacchere e riserve” in quanto non tutti i balli che avvenivano, anche se non proprio frequenti erano quelli di gruppo ma qualcuno anche semi-lento ance se danzato molto pudicamente:
-anni fine 50 primi 60
-ambiente cattolico
-benpensanti tanti
-parroco tra due e più fuochi
insomma fra i vedere/non vedere, sommesse critiche,allusioni infondate e, ultimo: la necessità di allungare la pista POLI-CAR……..che infatti avvenne bucando la nostra bella parete in mattoncini “gelosia” e passando in ex-sala musica con la “parabolica!!!!”.
successe che:
-il juke-box “smise di funzionare”
-“ci era stato ventilato che servivano permessi”
-“gli avventori andavano controllati”
-“gli spazi per i giochi erano oramai insufficienti” in verità l’unica affermazione comprensibile vista che in seguito nacque nel capannone della casa abitata Pancaldi l’Oratorio-salagiochi-DonBosco sempre migliorato e tuttora efficiente e meta ludica paesana.
RISULTATO: Addio alla sala musicale!!!!!
Touring Bagnolese
Ai primi anni ’60per 5-6 anni la voglia di viaggiare e visitare luoghi turistici, ci fece escogitare diversi modi per uscire da quel di Bagnolo, che non fossero le mete vicine in bici o con mezzi di fortuna o capeggiati da Don Giuseppe apripista sul suo “bianchino” motociclo nero a rullo che
oltre Ventoso non arrampicava, mentre in bici noi ragazzi raggiungevamo le “ 3 croci” e qualche volta il laghetto S.Valentino.
Pensa che ti ripensa, occorreva organizzare gite collettive usufruendo di un pullman, ma l’ostacolo piu grande era raccogliere il numero sufficiente di partecipanti, almento tale da coprire le spese.
Con l’intermediazione di Pietro, io lui e Guilner ottenemmo indicazioni da un funzionario delle Ferrovie Reggiane chiedemmo disponibilità ad un noleggio-autobus di Carpi (se ricordo bene Montorsi” in quanto sulla piazza di Reggio i prezzi di noleggio erano molto più alti e inarrivabili dato l’avvio in economia dell’iniziativa.
Alla prima uscita a Trento e Paganella notammo che con un po’ di passaparola in piazza e tra conoscenti un gruppo di signore ,per quei tempi molto dinamiche, tra le quali Sig.Alma Montanari(Cioldein), Sig. Dall’Argine (Vola), erano forze trainanti per tutto il gruppo, instancabili e avide di vedere ogni cosa. Ricordo sulla Paganella scarpe al vento, piedi stesi e doloranti, sedute col fazzoletto in testa a prendere l’abbronzatura.
Esse ci incoraggiarono dandoci l’adesione preventiva (al buio,come si dice) alle future gite pur non conoscendo anche sommariamente le mete dato che erano tutte da mettere in cantiere.
Furono queste signore che propagandarono presso conoscenti ci diedero la “carica” per riunirci con amici, denominare Tour Bagnolese l’attivitaà ricreativa e predisporre tours a Trento , Pisa, Venezia Lago Maggiore, Verona lago di Garda e diversi altri che non ricordo.
Era un viaggio di gran festa, canti, barzellette, e illustrazione delle tappe. Ricordo che a Venezia al momento di ripartire per il rientro in un caso, mancavano 2 persone all’appello.Dopo aver atteso un’oretta ci siamo messi in moto per il rientro sapendo col senno di poi che i due non avevano raggiunto il luogo dell’appuntamento a piazza Roma perché si erano staccati da gruppo principale ed erano rientrati col treno.
Seguirono poi altre gite Firenze,Madonna di Campiglio
LA Consulta Giovanile
Nel 1967 all’indomani delle riprese del film girato dal regista Bruno Jori : Bagnolo un paese tra il Rosso e il Nero: rosso come riferimento storico della maggioranza dei cittadini bagnolesi , Nero riferito all’abito del prete che era anche anch’egli simbolo di riferimento autorevole di tanti cittadini che vedevano in Don Giuseppe una persona saggia e pronta ad ogni consiglio o aiuto.
Vi fu uno strascico accalorato delle discussioni ,nei bar, negozi, in piazza ed in ogni altro luogo di aggregazione, ed esse assumevano carattere acceso (molto qualche volta) agli avvenimenti locali e di forza proiettando la discussione sul piano nazionale (testimoni le “girate” al caffè dello sport sotolineale nel film.
Con l’ambito desiderio dei più giovani di stemperare le contrapposizioni di paese,
fu allora che ragazzi appartenenti ad associazioni o partiti diversi, provarono a istituire un tavolo di discussione positiva (prola grossa)riunito prevalentemente in biblioteca che vedeva qualche volta Sergio Lusetti , anfitrione ospitante, come moderatore e la presenza frequente di un osservatore da tutti stimato: il prof. Gian Battista Rasori che portava unitamente a qualche altro componente il consiglio comunale alcune opinioni emerse dai nostri temi in discussione ed inerenti la vita di paese, le manifestazioni culturali e intrattenimenti vari ed anche qualche richiesta di sostegno ad iniziative condivise nell’ambito ricreativo-sociale.
Trovavamo la sperimentazione incoraggiante ed all’inizio eravamo tutti dediti ad un sempre migliore funzionamento della consulta; poi dopo alcuni mesi di incontri qualcuno comincio a defilarsi per ragioni diverse (fondamentalmente perché la partecipazione attiva per poter decidere su alcune cose da farsi diventava abbastanza impegnativa) , in realtà anche perchè riaffiorarono le mai sopite divergenze politiche specialmente sui documenti da presentare su manifesti affissi e ad iniziative che dovevano riferire una comune posizione.
LA Politica hainoi. quella che accalorava da sempre le persone più avanti in età prese anche noi nel vortice cui nessuno si sottraeva, come fosse un obbligato carosello quotidiano.
Fatto sta che dopo un anni vedemmo naufragare l’iniziativa ed ognuno diede attenzione al proprio orticello.