Campo di giochi e disfide

Camp dal prèt e...stredanova

Cà c'sea al sol, cà piova, neva o tira la sigaiola,

per nuèter "di Portegh" l'era sèimper 'na seconda scola.

(I "tempi", per me me i più belli, non sfuggiti alla memoria e ancora molto  chiari, sono quelli della mia infanzia.Un periodo nel quale i "problemi (quelli veri) erano assenti, quelli della scuola elementare risolvibili, gli altri, già un tantino più gravosi, sarebbero arrivati dopo qualche anno togliendo quel "chè" di magico che ci faceva vedere,fare etrascorrere le giornate il tutto in chiave di "leggerezza". Ci si addormentava senza ninna nanna!!, accompagnati già insonnoliti, se non completamente "cotti" (i primissimi anni addirittura in groppa ai genitori) ai nostri letti nelle camere al piano superiore(..lo scalone sgarrupato da salire!!!)  

Un pensiero affettuoso e commosso va ai miei amici deceduti Aldino, Gabriele, Divino Sberveglieri il cui ricordo mi ha accompagnato e che sento "presenti" sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

Chierici….già alla prim’alba

 

********

 

Io e Luigi (Ferrari, non parente e figlio di Norberto conosciuto "Prioda" ), qualche volta anche Aldino (Catellani, figlio di Ivo il macellaio") , eravamo chierici della prim’ora: non perchè avessimo indossato le cotte prima di tutti gli altri, ma perché il Sig.Gildardo (in seguito -Gildardo-, campanaro figlio di campanaro ) usciva dalla canonica e, per non scomodarsi troppo in giro per il paese rischiando di dover servire egli-stesso ma Messa), dopo alcuni passi fatti sotto i portici (tanti erano quelli che separavano la chiesa dalla nostra abitazione) ci chiamava a gran voce già mentre si avvicinava così, sentendolo,  andassimo a servir messa-prima o novene.

Noi stanchi di essere sempre i convocati all’appello mattutino, qualche volta dicevamo a mamma di non rispondere e lasciarci beatamente dormire. 

Prima delle feste di Natale quando si stava bene sotto le coperte “caldine” ed in chiesa cominciavano le novene, eccolo!!  alle 6,20 del mattino gridava Renzoooo!!! , Luigiiii!!! : "sò dai let cà neva/ fuori dal letto che nevica”sapendo che noi, entusiasti di veder nevicare per poi  fare le pallate e scivolare a fine messa sul sagrato, ci  saremmo precipitati da basso.

Luigi spesso scendeva le scale a due per volta con ancora intorno alla bocca il cercho lasciato dalla “pelle” del latte bevuto di fretta, io vestito alla benemeglio.

NON NEVICAVA!! l'alzata era fatta. 

Ancora ad occhi semichiusi entravamo in sagrestia indossando le cotte spesso a rovescio e magari agitando anche troppo rumorosamente il campanello all’elevazione più per svegliare noi che ottenere e sottolineare il momento solenne del rito ed attrarre l’attenzione dei fedeli presenti a quell’ora e che,finita la celebrazione dovevano dedicare la giornata ai più svariati lavori.

Erano le vecchiette che una volta rese arzille dalle nostre  scampanellate  ci invitavano poi nel cortile interno ai portici ,questo accadeva nel periodo pasquale e dopo la primissima funzione, ad allestire “la fornasèla (fornace quadrata di mattoni e murata in cortile sotto il pergolato di viti che avrebbero prodotto più avanti l’uva termarèina di cui eravamo ghiotti).

Sapevano che a noi piaceva tantissimo accendere il fuoco con le fascine di legna raccolte nell'estate precedente  ed immagazzinate negli immensi sottotetti del portici dopo averle issate  con fune e carrucola fino al finestrone della sommità nel retro della casa

Aiutavamo poi a preparare il “sendrer” quadrato di ruvida e spessa tela che serviva a contenere la cenere usata per la sbiancatura….candeggio??? del bucato così ci dicevano.

Il fuoco ardente delle fascine era per noi ragazzi affascinante e ci riportava alle immagini degli “indiani” seduti intorno al falò (temi di altri ricordi "fiammanti") che avevamo visto al cinema.

Tornando alle chiamate (meglio piazzate) di  Gildardo, tutto sommato saremmo stati sempre noi  i primi ad essere convocati anche allorquando c'erano  da servire riti quali quelli  funebri, battesimi o matrimoni.

In quei soli casi, finito il servizio, il parroco ci elargiva la mancia attinta dall’offerta ricevuta dai parenti dei richiedenti i riti stessi (lato compensativo rovescio della medaglia).


Gildardo però l'eccessivo darsi da fare per dare sempre a noi la veglia ancora notturna l’avrebbe pagato ..e con interessi.

Difatti legammo con fili di ferro le corde delle campane a diversi livelli, ed il concerto che NON venne al momento dei rintocchi di richiamo alle funzioni lo fece imbestialire.


P.S.In  momenti di divertimento collettivo i botti-campana eravamo capaci di farli anche noi, non solo io Aldino ma  anache altri, qualcuno con un poco di mira in più. 

 

Il vino…….lungo(sutil)e poco!!

La sig.ra Edmea (vigilante severa) perpetua della canonica, nei giorni di  sabato quando ci vedeva razzolare per il cortile, chiamava noi (chierici in borghese)  in aiuto per la preparazione delle ostie che servivano(successivamente consacrate durante la S.Messa) alla Comunione dei fedeli.


Eravamo incaricati ad attendere al  fornelletto elettrico circolare a due piastre riscaldate, che si chiudevano (come le piastre orizzontali per tirelle,) avevano incavi rotondi appena accennati (bassorilievi) lungo la circonferenza esterna per le  più ostie piccole, mente in un zona centrale più grande si formavano  le ostia per ostensione.


Avevamo memorizzato il punto di riferimento della  carica a molla  che serviva a non abbrustolire il velo (di farina ed acqua mescolate, una specie di colla) spatolato nella piastra sottostante allorché si chiudeva il coperchio. Una volta scaduto il tempo utile si sollevava e staccava la spessa ed unica cialda cotta che portava le impronte delle ostie stampate.



Veniva poi usata una apposita taglierina anch’essa rotonda che isolava i tondi delle ostie dal resto della cialda ed i ritagli (sfridi) li mangiavamo accompagnati dal buon vino bianco, dolce, purissimo di sola uva anch’esso utilizzato nel rito della S.Messa dopo che era avvenuta da parte del celebrante la sacra Consacrazione..


l vino-lungo(sutìl) e poco!!

La sig.ra Edmea (vigilante severa) perpetua della canonica, nei giorni di  sabato quando ci vedeva razzolare per il cortile, chiamava noi chierici  in aiuto per la preparazione delle ostie che servivano(successivamente consacrate durante la S.Messa) alla Comunione dei fedeli.

Eravamo incaricati addetti al  fornelletto elettrico circolare a due piastre riscaldate che si chiudevano (come le piastre orizzontali per tigelle, avevano incavi rotondi appena accennati (bassorilievi) lungo la circonferenza esterna per le  più ostie piccole, mente in un incavo centrale più grande s formava  l’ostia per ostensione.

Avevamo memorizzato il punto di riferimento della  carica a molla  che serviva a non abbrustolire il velo (di farina ed acqua mescolate, una specie di colla) spatolato nella piastra sottostante allorché si chiudeva il coperchio.

Una volta scaduto il tempo utile si sollevava e staccava la spessa ed unica cialda cotta che portava le impronte delle ostie stampate,

Veniva poi usata una taglierina anch’essa rotonda che isolava le ostie dal resto della cialda ed i ritagli accumulati in un cestino diventavano merenda,accompagnati dal buon vino bianco dolce purissimo anch’esso utilizzato nel rito della S.Messa dopo la consacrazione del celebrante.


L'eliminazione dei cosidetti sfridi era accompagnata da un bicchierino per liquori di quel vino dolce, purissimo di sola uva (16-18° dovuti alla possibilità di essere conservati a lungo) che noi adocchiavamo sempre:


bottiglie nere sulle mensole del "laboratorio-cantina con etichette sulle quali spiccavano nomi di santi (S.Siro-Pellegrino-)e la scritta Vino per Santa Messa, e che la perpetua Edmea come premio per la collaborazione ci serviva allungato con acqua in piccoli decorati bicchierini.


Noi di San Pellegrino conoscevamo il chinotto e l'aranciata, i loro  tappi (corona)erano eccezionali quando davamo loro la caccia ravanando in un cassetto del bar sotto i portici residui di stappature e chiedevamo al "Nin o alla figlia Angela) di prendere  quelli senza ammaccatura  da "stappo".


Apprezzavamo la stella serigrafata "che era di bellezza unica" e  quando li "truccavamo", attaccando al  sughero interno, il volto ritagliato a misura, dei corridori più noti del momento o personaggi in voga tra i ragazzi e 

diventavano gli oggetti contendibili nei giochi di "cricchetto"





 

Terminati gli incarichi “istituzionali” , nuova adunata, si giocava un po’ a (“cut” ) nascondino, alla fine...........

Liberi tutti!!! 

 

Sotto i PORTICI 

 -Non solo i cani circoscrivevano il territorio contro i pilastri, ma anche noi sentivamo un po’ l’esclusività di  quel tratto di piazza come il nostro ritrovo all’aperto. 

Il portone al centro del porticato che dava in casa mia e di Luigi si apriva in un 

Corridoio-ingresso-ripostiglio bici che dava su un gran scalone vecchissimo; a piano terra vi era l’alloggio della mia famiglia mentre percorsi 30 gradini “sgarrupati “si trovava l’alloggio della famiglia del  Sig.Roberto (Prioda) e di Luigi. 

Appena più in là sotto i portici, c’era la macelleria Catellani, il papà di Aldino e noi frequentemente sgaiattolavamo oltre il bancone raggiungendo il nostro amico nella grande cucina intento alla colazione o ad eseguire i compiti. 

La sig.ra Iris aveva sempre qualcosa benevolo da dirci e da darci, la nonna di Aldino invece ci chiamava scavezzacolli e faceva verso di noi il segno delle patacche agitando le braccia tese. 

Dalla cucina, quando Aldino  voleva impressionarci ci conduceva attraverso il cortile interno nella zona riservata al  mattatoio dove erano appese le mezzene in un grande frigorifero gli animali macellati che a me e Luigi  facevano un certa impressione, anche se sapevamo che il carico  degli autocarri che vedevamo arrivare in stradanuova pieno di animali, essi sarebbe poi finito sul banco di vendita di qualche macellaio.


Ricordando questi momenti, mi viene alla mente un episodio di macelleria casalinga del maiale che in campagna, e non solo, molte famiglie organizzavano perché  diventava il principale e diversificato cibo prelibato per tutto l’anno condimento, e companatico. In occasione delle feste o sagre leresdore facevano sfoggio della loro abilità culinaria e noi ragazzi giravamo nei pressi per accaparrarci qualche anticipo luculliano.  

Baghellonando sotto i portici , pur distrattamente curiosoni, facevamo” buon orecchio”ai racconti che gli anziani tra i presenti, in seduta serale riportavano. 

Uno di quelli ci suonò alquanto curioso e riguardava appunto la canonica preparazione, ad ad essere lavorati, dei maiali macellati.

Nella zona sulla strada per Correggio un preparatore(sarà stato tale?...…) non trovava un tavolaccio idoneo e lindo da usare per stendere e  bagnare la pelle  dell’animale con acqua bollente per rendere, cosi facendo più agevole la raschiatura  delle setole. 

Gli venne l’dea  di portare col carretto l'animale legato per le zampe sulla superficie di un piccolo laghetto rotondo con acqua sorgiva e bordato di muschio in cui nuotavano pesci gobbetti pescati altrove o vinti alla sagra e lì immessi per la gioia dei bambini. 

il laghetto in quel momento aveva la superficie molto spessa e ghiacciata dato il periodo invernale  da lungo tempo molto rigido. 

Lui ed un suo figliolo iniziarono a gettare secchi di acqua, riscaldata dal fuoco acceso in un grande bidone (il fogòun), sul maiale che "fumava" a meraviglia data la temperatura esterna. 

Ebbene, dopo le prime secchiate, se i compari di ventura macellatoria non avessero aiutato l’incauto proprietario  a trarre in “secca” sul prato il maiale, quello scompariva sott’acqua nella melma.

fac-simile di ricevuta di allora

Altro caso l’espediente  per risparmiare sul costo dell’ imposta daziale che veniva applicata dall'addetto del comune  alla macellazione; in questo caso messo in atto da un altro personaggio, contadino anch’esso e con famiglia numerosa. 

Saputo che il daziere sarebbe passato quella stessa mattina per daziare le mezzene macellate, volle  far prontamente apparire in cantina e in bella posta  sul tavolaccio l’animale macellato.

 

Il daziere notò che il proprietario del maiale, nella  fretta di esporre le due mezzene in bell'ordine  sul tavolaccio, aveva piazzato tutte e due le mezzene che avevani  il codino: balzò subito all'occhio del funzionario che erano stati macellati due animali e non uno coe si voleva far apparire. La situazione tragicomica  venne benevolmente  sanzionata evitando al poveretto altri guai. 

Assalto al fortino

Quel giorno il tema era: assalto degli indiani  al ( fortino…).Le frecce che avevamo preparato erano fatte di canne lacustri  che ci procuravamo lungo i canali o alle  “buche di Fantuzzi” e alla loro estremità mettevamo  batufoli di ovatta trafugati in casa,compattati  e legati.
Schierati nel campetto di calcio facevamo un piccolo falò ed attingevamo fuoco con le frecce già incoccate nell’arco e  bagnate di alcool denaturato che poi scagliavamo verso i pali della porta (il fortino) entro la quale contrassegnavamo a terra un cerchio come bersaglio su cui far spiovere le frecce ardenti.
Un giorno si sono voluti aggregare a noi diversi ragazzi del paese ed alcuni per noi “foresti”che abitavano le prime case le prime case già in zona- frazione di Massenzatico e che solitamente non erano della nostra squadra.
Noi per dimostrare la supremazia e la dimestichezza nell’armeggiare eccedemmo col lancio delle frecce un grappolo delle quali finì oltre la rete divisoria che separava il campetto dalla proprietà della fam.Olivi (Giulio  e Ivan rispettivamente nonno e papà di Guilner) e della famiglia Rinaldi-Bonaccini  (casa dove abitava la Zita).
I lanci,lunghi, finirono precisamente su un cumolo di strepaglie secche ammucchiate ed erba da poco tagliata; le sterpaglie  dopo qualche secondo presero fuoco e se le nostre urla allarmate non avessero prontamente attirato l’attenzione dei nostri genitori ed altre persone presenti nei cortili di stradanuova e  che con immediata prontezza si sono dotati di secchi e  attingendo acqua dalla vicina fontana fecero un passamano per spegnere il principio di  incendio ancora fortunosamente soffocato dal fumo della parte umida delle sterpaglie: finale con sonore sculacciate che lasciavano le impronte, e scappellotti  dei nostri genitori da ricordare!!!)
Alcuni rami di arbusto molto flessibili  chiamati da noi: “sangonina” avevamo sperimentato essere adatti la lancio a distanza   palline di terra morbida o di cera ad una considerevole distanza,facevamo roteare il ramo lungo circa 60/70 cm. e scagliavamo il proiettile morbido all’indirizzo degli avversari. I gruppi si posizionavano sulle linee delle rispettive porte di calcio ed al via si lanciava raccogliendo alla fine del ruond le“frittelline “di terra molle andate a segno.



 
Stanchi dei soliti ruonds un giorno decidemmo di rivolgere tutti l’attenzione verso obiettivi comuni: le case circostanti il campo di calcio,(le palline si spiattellavano contro il muro così bene tirate a distanza  dalla nostra “piazza d’armi”che per primi noi restavamo stupiti. un muro in particolare ci sembrava lì apposta, era intonacato al “grezzo” e le palline morbide si attaccavano che era una bellezza!!, era quello posteriore della costruzione proprietà del sig."Bibo" (Dallari Mulino farina 3 Grazie). 
Concordato i tiri a raffica e mirati rendemmo la parete a pois tridimensionali.
Purtroppo dimenticammo che la nostra maestra sig.ra Pancaldi-Dallari Ermanna, mamma di Gabriele era stretta parente di "Bibo" ed il mattino successivo alcuni di noi l’avrebbero avuta di fronte.
Così fu, la maestra ci fece una ramanzina coi fiocchi, una nota da portare ai nostri genitori ed il castigo nell’ultimo banco,senza ricreazione e con un carico di compiti da fare ed un tema: -Le buone opere dei ragazzi di paese- 
Non vi dico la vergogna provata nello svolgimento e..... nella consegna del tema
Alla maestra:Sig.ra Pancaldi Ermanna
 
P.S.“guerra di dispetti” perenne con Cesare,il manovratore della stazione ferroviaria perche’ raccoglievamo sassi, salivamo sui carri pieni di carrube delle quali eravamo ghiotti,tagliavamo i “marugoni” per creare una nicchia che serviva da deposito per  i materiali da gioco…sic!! Che certo non potevamo portare a casa, pena: patacconi…. al minimo se Cesare scopriva e di conseguenza distruggeva il loco avevamo pronto un “nidone” di riserva sul tronco dove si diforcano i grossi rami di qualche  alto albero in zona “Pioppa” raggiungibile solo con scala o arrampicata faticosa…(continua)


 

 

 

 

 

in zona…. “ferrata-cesaroni!!”

 

A.S.Come sommariamente accennato nell’annedoto “Assalto al fortino”, ecco un pò di dettagli delle nostre "escursioni" nella zona ferroviaria.

 

La possibilità di accedere alla zona ferroviaria lontana (per modo di dire) dai binari, ma ricca di “materia prima” per costruire ed anche per custodire in luoghi celati da una prima vista gli “armamenti”, aveva dato luogo alla“guerra di dispetti” diatriba perenne con Cesare, l'addetto manovratore in servizio alla stazione ferroviaria.

Cesare , a suon di ripetute sassaiole: ( mo ronza sempre nella mente il disco di Antoine che dopo pochi anni sottolineava che::"saraaa così finchèe vivrai,saràaa così……….. ), cercava di tenerci lontani dall’intera zona (in particolare quando ci avvicinavamo alla zona galline,(che allevava custodendole in  un  recinto-serraglio quadrato vicino alla rimessa per locomotive) che erano circondate da  da un muro di circa un metro e mezzo.

Noi , sempre affamati di dolcerie , salivamo sui vagoni merci parcheggiati in un binario morto e pieni di dolci carrube (seppimo poi destinate a mulini per ottenerne farine per alimenti zootecnici)  riuscivamo , attraverso gli alti finestrini protetti da reti che però le nostre "manine" superavano anche se con qualche graffio. Un pò affaticati ma contenti facevamo  merenda gratis fuori programma: in breve ci (toglievamo la voglia)saziavamo.


Un nostro lavoro di routine, era prendere di mira luoghi sempre diversi nelle boscaglie di sambuco “marugoni”. 

Internamente alla boscaglia sia quella vicina alle “Cantine Roveda”, sia quella che era dietro a casa "Loschi" vicina al montacarichi con grande tettoia (sotto la quale andavamo a ripararci e a giocare quando arrivava un temporale e,importantissimo, non era nei paraggi Cesare) tagliavamo i “marugoni”. creando nicchie dove riporre i famosi "strumenti" che non potevamo portare ovviamente a casa pena sgridate : pena “patacconi”.

e botte non appena i genitori ci vedevano, qualche volta informati dallo stesso Cesare.

Quando Cesare scopriva i nascondigli, immancabilmente  li distruggeva.

Abituati (anche) a ‘perdere’tenevamo in serbo una soluzione di riserva: la creazione di un  “nidone”  (altro non era che un vecchio grosso cesto malandato “cavagn per l’òva

che camuffavamo bene con rami(spròch) infilati negli interstizi) che poi piazzavamo su  un tronco fra grossi rami individuato nei campi in “zona Pioppa”.

Il nuovo nascondiglio “aereo” era  raggiungibile solo con una piccola scala sgangherata  fatta da noi con  robusti bastoni inchiodando alla base ed alla sua estremità  due tavolette in legno.

I pioli (scìavarol) un tantino più lunghi della distanza tra i paletti venivano legati con solide corde o fil-di-ferro intrecciati  “a croce” e sotto di essi, per evitare che scivolassero  in basso. inserivamo chiodi passanti e avvolti da cortecce di salici pelati perché non avessero punte pericolose.

Sistemavamo lì gli oggetti recuperati o rifatti ex-novo e li ponevamo tra le fronde al sicuro da malintenzionate incursioni.

Finita la sistemazione del “nido” la scala veniva ritirata e calata sul lato di un fosso vicino e non facilmente visibile. 

L’albero individuato era in prossimità del “semaforo” meccanico

( un traliccio alla sommità del quale era incardinata un rettangolo metallico a righe rosse che dava, inclinato a 45°, o vietava  se lasciato orizzontale,l’accesso dei treni alla stazione)

Questo "semaforo" veniva azionato  da Cesare  spostando  grosse leve poste oltre i marciapiedi di accesso ai treni che agivano: il primo sullo scambio per indirizzare i convogli ai binari per consentire soste contemporanee i convogli Reggio-Guastalla sul binario più vicino alla stazione i Guastalla-Reggio sul binario più distante, il secondo appunto per comandare il "semaforo".

Al rientro in paese, qualche volta lasciando il fossato(nascondi-scala)  ci incamminavamo verso la massicciata, e ci cimentavamo  (d'obbligo del salto ad... ostacolo) a scavalcare, saltando sulla parte terminale non interrata  dello spesso cavo (in fili di acciaio attorcigliati e ritorti), che arrivava fino alla sommità del traliccio che sosteneva il rettangolo a righe sopra detto e ad esso era fissato.

La piacevole (per noi) vibrazione sonora,  con diversi toni, che si propagava (sollecitata dall’agilità dei nostri salti con tocco) arrivava fino a Cesare, che pur distante quando sovrintendeva , manovrava e  sorvegliava anche  discese e salite dei passeggeri dai convogli, Capiva immediatamente la provenienza, ed immaginava le origini, gli esecutori del "vibrato"  e preparava un'altra ramanzina (nel migliore dei modi) se non rimedi peggiori.

Stanchi di tanto "lavoro" ci incamminavamo verso la piazza evitando, a scanso di guai, l'uscita ufficiale della stazione ma passando a lato  dei capannoni "Pancaldi" per raggiungere  via Rosselli e successivamente , ognuno casa propria.


Lasciato “sbollire” il momento, qualche giorno dopo salivamo di soqquatto alcuni gradini  vicini al muretto citato sopra, e  ci calavamo nel recinto galline. Prendevamo le uova disponibili ancora calde dei pennuti che svolazzavano e schiamazzavano allarmando il “Nostro”, ma noi , come risarcimento dei danni subiti dalle distruzioni delle nostre “cose” , avevamo già (dopo un succoso assaggio) abbandonato il campo e messo da parte un (buon) tesoretto alimentare cui attingere in seguito

 

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Corse in bici a cronometro 

L’anello-pista per le corse a cronometro (Stredanova, via Marconi, via Verdi,via guido da Bagnolo,via S.Giovanni Bosco) all’epoca tutti noi si era entusiasti delle mirabolanti iprese dei grandi ciclisti campioni Italiani, in primis Bartali, Coppi ed anche un allora “gregario” Barozzi stimato velocista di Bagnolo. Sempre prendendo spunti dalla quotidianità e dalla enfasi che ci prendeva giocando a “cricco”  con i tappi corona al cui interno avevamo incollato il ritaglio del viso del campione , ci venne l’idea di indire gare a cronometro nel circuito sopra accennato.

Accostato alla rete confinante coi nostri orti, collocavamo  un tavolo sgangherato (reperito nella mia “bugadèra vicina ) sul quale aprivamo  un  registro dei partecipanti per annotare i tempi ottenuti   e le note della corsa. In bellavista all’inizio posizionavamo una  grossa sveglia con l’orologino  contasecondi a vista , poi dopo l’ arrivo del regalo di compleanno che avevo tanto desiderato: un orologio da polso con cronometro mettevo a disposizione sempre quello perché più professionale.    Io presiedevo di norma la corsa, anche se una pedalata l’avrei fatta volentieri. Lanello si percorreva sia in senso orario che anti-orario.

Un giorno in cui si era deciso di  adottare il senso di marcia orario : cioè partenza verso viale Marconi (scuole vecchie) e arrivo in stredanova dopo la fontana davanti al mio orto, avevo deciso di partecipare passai l’armamentario  ad Aldino, e chiesi in prestito una  bicicletta da un  concorrente presente  per l’occasione.

Ho smesso di correre ( e per un bel po’ di tempo di cavalcare una bicicletta) dopo l’avventurosa caduta provocata da quella ( maledetta!!) bici fornitami dall’ “amico??” che  non mi aveva messo al corrente del  funzionamento di quel particolare tipo di bici per me sconosciuto: scatto-fisso! Imparai a mie spese cosa significava : pedale spinto in avanti =marcia, pedale spinto con forza indietro=freno.

 La pedalata che se bene impostata e vigorosa  era molto efficace per dare spinta al bici, non permetteva interruzioni di sorta; solo nella necessità di rallentare occorreva spingere i pedali indietro oppure lasciare che quelli girassero inerzialmente aprendo le gambe verso l’esterno togliendole dai pedali e così sfruttare al massimo la velocita che si era ottenuta senza affaticarsi  con la lingua di fuori.

I pedali giravano inerzialmente quando si vedeva che le pedivelle rallentavano il moto circolare si tentava di acchiapparle al volo piazzandovi sopra i piedi e ricominciando a spingere.

Dopo un potente  slancio iniziale  mi sono fermato di colpo di pedalare e cercavo i freni (che non esistevano) perché mi stavo avvicinando alla prima delle curve in via Marconi in corrispondenza  “Scuole vecchie”.  Venni all’istante catapultato davanti alla bici che poi mi è piombata in testa; un volo che fortunosamente ha trovato il punto di impatto vicino al  lato della strada al limite della  terra battuta e qualche zolla di erba facendomi  battere la testa e riportare  ferite a volto con la frattura orizzontale di un dente anteriore che mi sono portato (per ricordo…)  diversi anni, le abrasioni sulle gambe non si contavano.Dulcis in fundo , arrivato a casa ho sommato la “botta” che mi ero procurato correndo, a quelle  dei miei genitori arrabbiatissimi quando mi sono presentato zoppicando nel cortile di casa e  a forza di  patacche mi hanno fatto entrare  in cssa e subito disinfettato e bendato, preoccupati anche per il danno che avevo provocato alla  bici presa in prestito che seppi essere del papà del ragazzo che me l’aveva prestata; il finale? scontato,a letto senza cena.

Quel giorno non brindammo con le mie bibite “fontaniere” preparate artigianalmente con le polverine aromatiche  che mettevo in palio per i vincitori e altre similari di svariati gusti potevano essere attinte , fresche, dentro bottiglie chiuse a macchinetta e portate con secchi in vari punti (dagli sherpa) del percorso per ristorare assetati spettatori.  

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